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Motohiro Hata
recensioni
di zefis90
Pubblicata il 28 Settembre 2010
Riproposta ed aggiornata il 03 Ottobre 2010 Non ci è voluto molto tempo affinché Motohiro Hata proponesse ad un pubblico ben più vasto di quello iniziale i suoi piccoli gioiellini di songwriting tutto chitarra e sentimento: eccolo, infatti, a sei mesi distanza dal convincente e riuscito primo EP, tornare col suo primo lavoro sulla lunga distanza, intitolato con un termine che più icastico ed azzeccato non si poteva veramente trovare: “contrast” è infatti un lavoro che gioca su due universi musicali paralleli, i quali continuamente si mandano spunti e riflessi, ma non si incrociano mai in maniera univoca. Ovviamente si parla della sfera folk-rock, vicina ad echi acustici e più che altro ricettacolo dell'espressività dell'artista, e dello più scatenato invece panorama soft-rock, dove Motohiro riesce a mostrare al massimo la sua grinta e la passione che lo contraddistinguono. Due umori, due diversi modi di interpretare la musica, due spinte e pulsioni trapelano da questo disco, che forse proprio per questo motivo appare leggermente confuso in fase di melodie e sonorità, ma sicuramente non è privo di interesse, anzi svela lati del cantautore ancora nascosti, che per fortuna non ha tardato a mostrare. E per mostrarci subito che il suo cantautorato non è fiacco o arrancante, ecco che dritta dritta, senza tanti convenevoli, appare “Shikisai” a mostrarci che Motohiro è tutt'altro che uno scrittore statico e dall'inventiva latente. Ritmica irta, frastagliata, accompagna al suono melodico e caldo della chitarra acustica tutta la sfrenatezza di quella elettrica, proiettandoci in una melodia solare e piena di speranza. Forse il ritornello, e specialmente il bridge, non riescono a trasmettere quella sensazione di allegra festa che traspare dall'affascinante musica, ma tutto sommato, anche se non brilla come altri suoi pezzi affini nell'armonia, tuttavia si tratta tutt'altro che di una brutta canzone, ma anzi ci introduce più che dignitosamente a quella che è la dicotomia musicale del disco. Subito dopo, una breve intro strumentale ci introduce nella nuova versione di “Synchro”, brano che si ha già avuto modo di poter apprezzare nel precedente EP. Quello che cambia in questa ri-edizione più che altro non è la melodia, alla fine in tutto e per tutto identica all'originale, quanto l'arrangiamento, che qui si fa più vigoroso, più spigliato, in breve dal suono decisamente più rock, enfatizzato da una linea di chitarre elettriche che mette in risalto i bei fraseggi di Hata. “Uroko”, al contrario, attacca con uno strumento insolito nelle composizioni del cantautore, ovverosia il pianoforte, che fondendosi alle ottime digressioni rockish del pezzo, intesse una melodia piacevole e grintosa, per poi scendere in pathos durante le strofe, che preferiscono riservare l'esplosività per il rbidge e per il ritornello, dove il brano riesce ad esprimere tutta la sua potenza e la sua incisività, in un panegirico di colori e percezioni, dove Motohiro sublima la sua voce sposandola ad una musica che riesce a tenergli testa. La prima vera e propria sorpresa dell'album, non c'è che dire! “Kimi to wa mou deaenai” aggiusta invece il tiro della canzone appena trascorsa, per approdare placida e appagante nel territorio delle vibranti pulsioni passionali ed erotiche, di cui l'artista riesce a farsi più che persuasivo portavoce. Traccia terribilmente orecchiabile, vuoi per il ritornello appiccicoso ed accattivante, vuoi per la facilità di soluzioni impiegate in fase di composizione (senza che questo sia un lato negativo), si concentra totalmente sui languidi e maliardi vocalizzi del cantautore, qui più che mai vero foriere delle sue emozioni, che nel pieno trasporto della sua enorme espressività si è però dimenticato di curare allo stesso modo la parte musicale, qui talvolta scadente nel sonnolento. Il suono sarà forse adatto alla melodia proposta, ma un pizzico di brio in più non avrebbe di certo guastato, ma anzi avrebbe elevato ancor maggiormente l'interpretazione di Hata, tra le sue migliori in assoluto. Riprendendo il titolo da una particolare tecnica musicale, essenzialmente appannaggio degli strumenti a corda, che consiste nella ripetizione assai rapida di una singola nota, “Tremolo furu yoru” in realtà è una scanzonata canzone estiva e senza tante pretese, sicuramente la più allegra e spensierata dell'intero lotto, rimanda fortemente ai pezzi armonici e sussurranti della Mai Hoshimura dei tempi di “Joyful”, proponendo un arrangiamento acustico e fortemente influenzato dalla scena pop più dolce e carezzevole tanto in voga in ambito nipponico, trapiantato comunque in un contesto chitarristico che ne privilegia i lati più ritmici. Un buon esperimento, nel complesso. Ma quello che sta per arrivare è quanto meglio Motohiro si potesse inventare per rinnovare ancora una volta un sound mai pago di reinventarsi ad ogni tornante favorevole. “Lily” è con ogni probabilità il pezzo migliore che il cantautore sia stato capace finora di tirare fuori, incredibile nella sua capacità di conciliare il minimalismo alla ricchezza di variazioni e soluzioni. Sì, perché in tutto e per tutto si tratta di un pezzo minimalista, tutt'altro che sovrabbondante e strabordante, appoggiandosi su tre accordi tre di chitarra, i quali tuttavia vengono accompagnati di volta in volta da uno spettro strumentale completamente diverso: violini, tocchi elettronici, accordi di chitarre acustiche, pianoforte, effetti sonori.... Tutto questo compenetra e fluido, lascia lo spazio a quello che deve venire, intensificando il fermento in sottofondo che si viene a formare in tal modo. Ma la miscela non è completa: occorre ancora tener presente di quello che è capace di fare Hata con la sua voce, che prorompendo acre e quasi dolente nel refrain, scalda l'animo di chiunque l'ascolti, tanti sono la foga e il riverbero caloroso che riesce a trasmettere con quei pochi, ma memorabili acuti. Le continue sincopi ritmiche, le irrefrenabili dissonanze tra melodia e partiture, il tutto rende di “Lily” un brano splendido, singolare ed assolutamente irresistibile. E dopo le stelle, le stalle: non fraintendetemi, “Aoi chou”, in sé e per sé, non è che sia un pezzo mal eseguito o tirato via, soltanto che tutta la tensione emotiva accumulata con i precedenti brani qua non giunge ad una completa soluzione, è una melodia come tante altre che non comporta niente di particolare a livello di sonorità o espressività, e pure il ritornello, generalmente punto di forza dell'artista, è un blando riproporre classici stilemi senza personalità, insomma, niente a cui plaudire. Con “Tsutaetai kotoba” si ritorna nuovamente alle atmosfere estive che hanno caratterizzato la quinta traccia del disco, coadiuvate anche dall'uso in sordina dell'organo, e dall'armonica, che qua tende però a comparire pochissimo, giusto poco dopo dall'inizio e alla fine, appiattendo un po' il sound di un pezzo che avrebbe potuto essere in tutto e per tutto più che discreto. Niente di sorprendente, ma alla fine si tratta ad ogni modo di un brano divertente e ben assortito, frizzante e allegro, e quanto ne abbiamo al giorno d'oggi bisogno di musica che ci sappia trasmettere il buon umore! Toni al contrario che tendono al funk rock per la seguente “Aka ga shizumu” (che nella tracklist compare in realtà a seguito di “Bokura wo tsunagu mono”, della quale si è già parlato nella scorsa recensione), dove il ragazzo fa della voce l'indiscussa protagonista, prediligendo una melodia scarna, ma allo stesso tempo efficace nel conferire ogni singolo particolare delle modulazioni vocali dell'artista, che dà anche stavolta il meglio di se stesso. Un'altra piacevole sorpresa di questo disco. “Tobu tame ni” scatta deciso, con tratti di chitarra che si fanno marziali, quasi asettici, accentuando il lato rock che torna a farsi sentire in tutta la sua forza, forza che ha ben avuto modo di apparire durante l'ascolto. La musica, anche stavolta, pecca un po' di mancanza d'ispirazione, ma fortunatamente questo piccolo scoglio è superato egregiamente dall'interpretazione, che anche stavolta, accompagnata dall'egregio lavoro di batteria, riesce ancora ad emozionare, a plasmarsi, a fornire una bella melodia ritmata a tutto quanto il brano. Chiusura invece melodrammatica e soffusa con “Fuukei”, che propone una ballata ariosa su base di pianoforte, soffice e tenue, ma che alla fine non è niente di così particolare. Le modulazioni, i cambi di ritmo, le tematiche musicali, e pure le scelte per le esecuzioni di archi e batteria, rimandano al più canonico lento, ma alla fine è un modo simpatico, e un po' diverso per la piega dell'album, di concludere un disco che ha soddisfatto appieno le aspettative di coloro che si aspettavano una linea fedele a quella dell'esordio, ma stravolta negli intenti. Album che finalmente ha consentito a Motohiro di espandere la sua fandom a quella appena considerabile del variegatissimo cosmo underground nipponico, “contrast” riserverà certamente molte emozioni a tutti coloro che vorranno addentrarvisi. Immergetevi senza remore nei solfeggi eterei e cristallini della voce del cantautore, e state sicuri che non vi tradirà in alcun modo! La musica presenta una leggera fase calante rispetto al nitido esordio, ma ogni carenza d'ispirazione poco regge rispetto alla grandiosità che emana dalle sue melodie. Hata ha continuato su una strada che lo ha portato a definirsi come una delle più grandi promesse del songwriting al giapponese, e le sue future creazioni di certo non hanno tradito quest'aspettativa! Qualità complessiva delle tracce: 8 Musica: 7.5 Voce: 9 Copertina: 7
7.88
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