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Motohiro Hata
recensioni
di zefis90
Pubblicata il 23 Maggio 2013
Riproposta ed aggiornata il 02 Giugno 2013
Alla fine era tutt'altro che inaspettata, la svolta nel sound di Motohiro Hata: di avvisaglie ce ne erano già state in passato, per ultime quelle arrivate con l'EP dell'anno scorso “End Roll”. Pure se fossero venuti a mancare però tutti gli indizi disseminati lungo il cammino, alla soglia del quarto studio album un cambiamento, parziale o totale che fosse, era quanto di più naturale si potesse supporre, anche per chi come il cantautore di Nichinan ha fatto della coerenza la propria bandiera. Se ancora non bastasse, ci si mette anche il titolo, “Signed POP”, ad ammiccare senza troppa fantasia al compiuto passaggio di consegne. Pur fedele al suo immaginario intimo e romantico (le ballate acustiche occupano un ampio spazio della raccolta), Hata non è mai suonato così pop, anche quando nei suoi dialoghi con la chitarra si lasciava conquistare dall'elettricità e dal senso del ritmo. Invece, qui a comparire sono dolcezze soul, sfumati accenni funk, una grinta rock che il Nostro sì aveva, ma che sfoderava più a livello vocale che sonoro. La palette strumentale e il numero di soluzioni d'arrangiamento, ampliatosi in tal misura, consente quindi al suo autore di poter ambire ad un prosieguo di carriera sorprendentemente solido e variegato, laddove in molti, giunti alla maturità della propria arte, l'hanno progressivamente inaridita e disciolta in un mare di scontatezze. Qui si punta ancora alle stelle, al contrario.
“Hello to you”, è posta ad apertura del nuovo album, e ad ascoltare questo pezzo, non sembrerebbe ci siano stati chissà quali cambiamenti. Inutile dire che non si può proprio parlare di stravolgimento totale nel suono del cantautore, ma occorre avere un po' di pazienza, prima di poter avere qualche assaggio di cambiamento. Per adesso, basta comunque lasciarsi cullare, trasportare, dal melodismo accorato, dal delizioso pizzicare dell'acustica, per rivivere nuovamente la magia, l'ardore commosso e fragile della voce di Hata, sempre puntuale e mai esagerata nel fraseggio. “Goodbye Isaac”, di rimando, è un brano dai marcati influssi pop-rock, solare e arioso come nella migliore tradizione del cantautore. Il tocco melodico infatti ricorda decisamente i fasti di un “Contrast”, del brio grintoso che ne contraddistingueva molti dei giri armonici: per l'estate che tarda ancora a farsi quantomeno annunciare, un buon elisir e un ottimo accompagnamento musicale. “Girl” è un'altra canzone che scommette sul ritmo, per quanto con un filo di rallentamento in più rispetto alla precedente, e fa decisamente bene a scommettervi. Col pianoforte e il buon sostegno di basso a fare da mattatori nella seconda metà del pezzo, è però nel ritornello ben azzeccato che si lascia ricordare, portando in evidenza ancora una volta le ottime intuizioni di scrittura di Hata. Diversa nella struttura e nell'impostazione, “Hatsukoi” è invece una torch-song midtempo tutta sentimento ed emozione. La progressione melodica effettivamente non brilla per particolare fascino (certi passaggi sanno di risaputo nel canzoniere sempre crescente dell'autore), ma tutto sommato c'è comunque materiale sufficiente a non decretarla un episodio trascurabile del disco. In tutto poi, la voce di Hata ci mette il suo per supportare la canzone al meglio, nei suoi giochi di fraseggio che sanno sempre tenere testa alle aspettative. E finalmente, al quinto brano la prima sorpresa: “Genjitsu wa shousetsu yorikinari”, tutta tastiere e spunti Seventies, prende spazio con prepotenza nella nuova scuola di autori che riscoprono il soul in tutta la sua forza comunicativa ed espressiva, e lo fa senza troppi complimenti. Dotato di una vocalità naturalmente incline a questo genere, aiutato nel suo lirismo da sassofoni e un arrangiamento morbido, dolcissimo e intimo, Motohiro si muove con passo felino e flessuosità innata in un brano che non ha niente da invidiare a una “Secret Garden” di Superfly o al passo jazzato di una “Kodou” della misconosciuta Eri Nobuchika, dando anzi molto da riflettere su quanto questa riscoperta del soul stia portando a ottime produzioni negli ultimi anni. Più scanzonata, nuovamente incline ad abbracciare la vitalità del pop-rock made in Japan, la canzone è una carrellata di tutto quello che ci si può attendere da un brano simile, forse anche di più. Ecco quindi fare la sua comparsa un ritmo sostenuto di batteria, un atteggiamento solare e fresco alla melodia, la chitarra che lascia spazio al restante spettro musicale: un vero peccato che a un certo punto si sia deciso di inserire senza apparente motivo coltri d'archi ad appesantire il disegno sonoro generale, quando facendone a meno si poteva preservare la deliziosa leggiadria del brano. Superato questo breve passaggio infelice, si torna di nuovo a toccare terre soul nella dolcezza di “May”, nella quale invece l'uso degli archi si sposa benissimo nell'incastro sonoro assieme al pizzicare di chitarra. La melodia forse è priva di quel tocco intimo proprio del cantautorato “dell'anima”, ma tutto sommato il trasporto emozionale c'è tutto, e alla fine è questo ciò che conta. “FaFaFa”, tra i pochi brani propriamente rock della raccolta, non fa niente per tradire le attese; sprizza vitalità da tutti i pori e si veste di un'energia frizzante e sbarazzina. Non brilla di certo per inventiva melodica, ma nel disegno del disco fa la sua figura senza particolari problemi. Di “End Roll” si è già parlato a proposito dell'omonimo EP uscito l'anno scorso, e non ci soffermeremo in questa sede (per la sua analisi vi rimandiamo alla recensione di suddetto lavoro). Si continua il viaggio col pezzo più black-oriented del lotto, “Jigazou”. Sensualità intima e confessabile solo attraverso il tocco della musica, questo è quanto suggerisce il brano, che nelle sue dinamiche funk-soul mostra quale potrebbe essere un futuro auspicabile per il percorso del musicista. Il tocco della tastiera poi è davvero avvincente e conturbante, crea assieme alle percussioni un letto sonoro irresistibile. Da ascoltare e riascoltare, lasciandosi avvincere dalla grazia inesorabile di una canzone classica ma assolutamente personale. A proposito di brani personali, “Minazuki” ne è la quintessenza, un distillato purissimo di quanto Motohiro Hata ci ha abituati ad ascoltare da lui. Aspettatevi quindi di trovarvi alle prese con un brano giocato perlopiù su voce e chitarra, ma dotato di un'esplosività e di un'energia che non lascia prigionieri. Sapete voi se quindi è il caso di prendere o lasciare (tant'è che è pure stato scelto come singolo). “Dear Mr. Tomorrow”, altro singolo uscito per introdurre e tarpare le attese di un nuovo disco sulla lunga distanza (effettivamente non aveva mai lasciato correre così tanto spazio tra due suoi album), è un pezzo che ritorna alle sue radici acustiche, alla tenue medietà dei suoi bozzetti color seppia. Lento sognante e sospeso in una sorta di limbo, la canzone si avvale anche dei contributi, sempre più frequenti nella sua musica, di una tastiera che assieme al solito, ma sempre avvincente, uso che Hata fa della propria voce, conquista per l'ennesima volta; è lecito chiedersi da dove tiri fuori interpretazioni sempre così precise e avvolgenti, dove nasconda il suo cilindro magico. Scherzi a parte, non vi sono magie particolari al di fuori del talento, e anche “Tsuzuru”, pezzo finale prima di far partire il secondo, breve, CD, contenente le sue collaborazioni nel corso degli anni (tra le quali va segnalata “Altair”, tie-in dell'anime “Sakamichi no Apollon”), ne è la conferma. Di un talento raro e prezioso, che anche in dischi di transizione come questo, trova comunque il coraggio di non ripetersi ciclicamente e staticamente sulle solite coordinate di melodia e d'arrangiamento, favorendo l'emersione, anche nei pezzi più ordinari e classici come questo (è una traccia che va ad aggiungersi al ricco filone acusticheggiante ben rappresentato nel suo repertorio) ha di cosa raccontare. E non serve altro. Difficile dire come si evolverà la carriera del Nostro da qui in poi. Certo, con “Signed POP” non firma il suo capolavoro, ma mostra una palese voglia di cambiare, di rinnovarsi, di mettersi in discussione, più di quanto un “Documentary” aveva lasciato intendere. E questo, senza mai abbandonare i propri credo, aggiungendo elementi dall'esterno piuttosto che stravolgere la sua essenza. In fondo, da un cantautore come Motohiro Hata non serve altro. Qualità complessiva delle tracce: 7.5 Musica: 7.5 Voce: 9 Copertina: 7
7.75
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