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Salyu
recensioni
di zefis90
Pubblicata il 25 Gennaio 2013
Riproposta ed aggiornata il 01 Febbraio 2013
Mi sbilancerò forse un po' troppo, ma “s(o)un(d)beams” è e rimane un autentico capolavoro. E' molto probabile che non rimarrà, che non marchierà a fuoco nessuna scena e che non influenzerà nessun disco a venire, d'altronde il Giappone sta attento alle banalità dell'ultimo visino dolce pronto a raccontarci le ennesime paturnie d'amore. Ma è un autentico capolavoro, un disco che ha avuto il coraggio quadro di giocare coi testi e i dettami del j-pop e cavarci fuori qualcosa di davvero particolare e fuori ogni collocazione, se non quella (erratissima) di essere un derivato della scuola di Björk. Difficile che Salyu riesca a confermarlo (ma non è detto, di pezzi clamorosi ne ha tirati fuori costantemente), sia nella sua carriera solista che in compagnia con Cornelius, ma se c'è una cosa che continua a confermare, quella è indubbiamente il suo sfrontato eclettismo, il porsi costantemente in gioco, anche a costo di qualche sbandata collaterale e di rischi forse eccessivi. E questo, perchè “photogenic” è la perfetta dimostrazione di questo assunto. Senza necessariamente ripercorrere le trame più orchestrate (si prenda il termine con la dovuta cautela) del precedente “maiden voyage”, e puntando più sull'enfasi popular, il quinto album in studio per l'interprete giapponese è il primo disco che si misura a carte scoperte col j-pop. J-pop rivisto in chiave Salyu ovviamente, ma pur sempre j-pop, nelle intenzioni, nella struttura, finanche in una certa giocosità che si respira in parecchie tracce. E se non sempre i risultati mostrano di essere all'altezza delle aspettative, già questo esperimento inconsueto per la Mori mette in chiaro che lei, anche negli episodi minori, è spanne sopra all'imbarazzante media attuale di tante starlettes col microfono. Con tanta pace di tutte quante.
Tocca a “camera” aprire le danze, e lo fa introducendo immediatamente al nuovo cambio di stile, in un brillante saggio di effervescenza pop che sa di contemporaneità, ma allo stesso tempo ha lo smalto del classico minore, di quel brano dal fascino dimesso che potrebbe però diventare un amico insostituibile. E quel ritornello, piazzato lì col suo giocoso evolversi, ha molto da raccontare (musicalmente parlando, s'intende), e svolgerà il suo compito alla perfezione, ficcandosi in testa e non scrollandosi più di dosso. Di “LIFE” si era già parlato nell'apposita recensione del singolo, resta solo da dire che il brano, almeno per il sottoscritto, non è tra i più convincenti del lotto, pena una vena melodica fin troppo evanescente e leggera e un brio nell'arrangiamento (in cui svetta l'uso degli ottoni) che pur rimandando a una complessità quasi prog, non riesce a sostituirsi al tiro un po' fiacco della scrittura. Pezzo dignitoso, ma la b-side “Tangram” era tutt'altra cosa a paragone. “magic” è una simpatica marcetta frizzante e sbarazzina, condotta sul giro di tastiera e sulla scansione precisa del ritmo. Solare e serena, perfettamente calata nel suo ridente immaginario j-pop senza troppi pensieri per la testa, anche se non brilla per grandi qualità o per qualche particolare curioso, non nega comunque plurimi ascolti, non fosse che porta comunque con sé un buonumore al quale non si dovrebbe restare indifferenti. “Aozora”, già uscita con la precedente come singolo, è il primo tentativo di infondere al sound prettamente in maggiore e allegro il classico stile dell'artista. Ecco quindi che appare il primo lento del disco, magari con un arrangiamento corposo e ricchissimo di suadenti armonizzazioni vocali, ma il richiamo alla ballad c'è. E per quanto forse stenti a farsi ricordare con forza, il brano funziona alla perfezione, merito anche delle ottime qualità vocali di Salyu, che non indugia a sfoderare, appropriandosi così con assoluta naturalezza del brano. Buona prova. E' però con “Lighthouse” che viene tirato fuori il primo pezzo da novanta. Lo ammetto, avevo preso davvero sottogamba il brano, ritenendolo l'ennesima ballata tutta emozione e poco altro. Niente di più errato: nel senso, l'emozione c'è, è prepotente e il climax del ritornello è forse la parte migliore del brano, ma è l'eleganza assoluta della melodia, il minimalismo dell'accompagnamento strumentale (una parca elettronica e un bel tiro di chitarra elettrica che si intensifica nel ritornello) che in fondo convince. L'assoluta, felpata potenza di una canzone, che si tramuta in puro sentimento, e niente apparirà più importante, per questi cinque minuti. “Kanashimi wo koete iku iro” è un altro pezzo giocato su batteria e pianoforte, per la quale si scorge un profilo melodico tutto sommato ben gestito e sviluppato, e un ritornello capace di mettere in mostra la classe cristallina del timbro della Mori, sempre adeguata in ogni contesto. Una buona prova. Ma ancora più buona è “Parallel night”, il pezzo che esula dal bilancio generale della fatica e insieme ne riassume tendenze e aspirazioni, in un perfetto pareggio di intenzioni. Beat corposo ed eloquente, chitarra elettrica a disegnare arabeschi che ancora una volta si caricano di aspirazioni prog, una voce sottile e acuta, ma non per questo priva di pathos: la ricetta del pezzo è semplice, eppure sa farsi terribilmente evocativa, anche complessa quando è necessario, ma mai meno che realmente efficace. E questo, è un pregio non da poco, una capacità di sintesi che i collaboratori di Salyu hanno tenuto bene presente e hanno saputo far fruttare egregiamente. Una particolare interpretazione di un rock elettronico che sa farsi spazio nei recessi della memoria; tutto sommato, questo basta e avanza per decretarla una canzone non soltanto convincente, ma proprio stupenda. “Tsuki no uragawa” è una traccia dalle tinte rock invece, zeppa di interventi di tastiere, che fatica però a lasciare un'impressione duratura. Tutto sommato, alquanto dispensabile. “Breakthrough” è un brano dai risvolti jazzy, per non dire che approda a delle soluzioni elegantemente latineggianti, rielaborate in chiave fascinosamente pop. E quella voce così bambina, così giocherellona, interpreta con totale non-chalance le linee suadenti dell'arrangiamento, donando così il giusto tocco di dolcezza al tutto. Tanto serve (ma non è comunque poco) per fare del pezzo uno dei migliori tre dell'album. Chiudono l'opera le calorose aperture di “Tabibito”, ballata simil-orchestrale sorretta da una sempre ottima performance vocale di Ayako, che comunque non riesce a fornire spunti sufficienti per far sì che il brano venga strappato dalle grinfie della convenzione. Pregevole chiusura, ma niente di più. Dai risvolti un po' altalenanti, “photogenic” è comunque il mainfesto di un'artista e cantante in continua evoluzione, di una voce alla costante ricerca di spazi nuovi da abitare, di vesti diverse da indossare e saper calare con l'adeguato portamento. E se forse ancora manca un pizzico di convinzione in più per saper vestire questi panni (in un certo senso, è assente quel quid di personalità che avrebbe reso i brani davvero memorabili: ogni tanto Salyu si abbandona nella musica, quando dovrebbe essere il contrario), è certo che al prossimo capitolo la Nostra scriverà ancora qualcosa di diverso. Per ora, si ha in mano un quinto album assolutamente godibile, e così va più che bene. Qualità complessiva delle tracce: 7 Musica: 7 Voce: 8 Copertina: 8 Copertina Limited Edition/First Press: 8
7.6
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