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Shugo Tokumaru
recensioni
Coperdina di In Focus? - Shugo Tokumaru
In Focus?
Album pubblicato il 07 Novembre 2012

Quinto album per il cantautore e polistrumentista giapponese, pubblicato dapprima in Giappone nel Novembre del 2012 in un'edizione doppio CD, successivamente licenziato anche nel resto del mondo. Consiste in un'effervescente e spumeggiante miscela di art-pop intervallato a elementi folk, elettronici e tradizionali. Per promuovere il disco è uscito un video di “Katachi”, traccia lanciata in esclusiva sul canale Soundcloud della Polyvinyl (etichetta che ha curato la pubblicazione in Occidente).
673 click, nessun voto degli utenti
di zefis90
Pubblicata il 19 Febbraio 2013
Riproposta ed aggiornata il 05 Marzo 2013
Shugo Tokumaru è un talento. Di quelli piccoli forse, di quelli che fanno fatica a emergere, di quelli che non hanno il sound giusto e il physique du role per sostenere palcoscenici di ampia portata, ma è un grande talento. E questo va detto prescindendo dai gusti di ciascuno, ché quelli chiaramente dipendono dalle percezioni che ciascuno di noi nei confronti di una creazione artistica, ma resta il fatto che il polistrumentista e cantautore di Tokyo, innamorato dei Clash e della musica occidentale, si è creato un percorso solidissimo nel firmamento indie del suo Paese, arrivando anche ad essere coccolato dalla critica internazionale, cosa che non accade così di frequente per le proposte musicali dal Sol Levante. Il motivo è presto detto: se è vero che in Giappone sono in tanti a trattare il mondo dell'infanzia trasponendolo in immagini musicali vivide e giocose, ben pochi sembrano riuscirci senza apparire ridicoli o al più irrimediabilmente nostalgici. Tokumaru è riuscito nell'impresa di non cadere mai nella banalità della fanciullezza vista con occhio adulto, raccontando dalla parte dei bambini il loro mondo fatto di mille colori, l'universo dei sogni in cui tutto si fa possibile e in cui volare con draghi è tanto reale quanto bere un bicchiere d'acqua. Ecco che “In Focus?”, suo quinto lavoro in studio, diventa forse il suggello di una carriera a cui se non mancava la classe, mancava ancora il disco di razza che ne esaltasse a pieno la grandezza. Oramai, si può dire che il percorso sia arrivato al suo lieto termine, e che d'ora in poi ci sarà soltanto da parlare di riconferme, e non di maturazione.

E' il picking veloce e aggraziato di “Circle”, fulminea introduzione da poco più di un minuto, a introdurre al nuovo lavoro: un picking di matrice quasi primitivista, ripetitivo e mordace, attorno al quale piano piano si costruisce un crescendo di strumenti giocattolo e piccole percussioni che amplificano l'intensità e fanno venire voglia di cominciare a muoversi in maniera convulsa e sregolata. Un tripudio di colori che ci fa cominciare nel modo migliore l'ascolto. L'ascolto continua a ripagare i padiglioni auricolari anche con il primo brano vero e proprio, e traccia uscita per promuovere l'album: “Katachi” (di cui è in circolazione anche un bellissimo video; cercatelo!). Dal tono quasi hip-hop (le sincopi sono quelle, per quanto trasfigurate in un contesto totalmente diverso), e con zufoli e a fare la loro comparsa qua e là, e la chitarra acustica a dare il timbro, il brano è un vero tripudio di dolcezza, un riflusso di energia sognante che nella melodia lieve acquisisce una potenza indescrivibile, sottolineata anche dal cantato fascinoso, soltanto all'apparenza anemico, di Tokumaru. Il potere della magia si sprigiona in questo splendido brano in tutto il suo innocente candore. “Gamma” è un piccolo interludio che porta nuove ardite soluzioni nel ricco caleidoscopio compositivo dell'autore, garantendo una ricca palette sonora. Piccoli carillon in rincorsa, sfasamenti di tempo, il pezzo è pura enfasi cartoonesca riassunta in un minuto e mezzo, e onestamente, chiedere di più sarebbe davvero troppo. “Decorate” fa anche meglio, essendo una canzone vera e propria, dallo sviluppo completo, in cui la melodia prova anche a sfiorare il territorio dell'anthem. E di fatti, la voce di Shugo prova ad alzare un po' il tono, a circondarsi di armonizzazioni grintose che riempiano lo spazio, senza mai ad ogni modo rinunciare alla bellezza rotonda della sua musica, venata sempre di un'intensità che non cerca la sguaiatezza d'intenti. Come in un sogno, è quell'energia che ti permette di affrontare gli ostacoli, che non richiede rumore, ma solo una forte confidenza nelle proprie capacità, e qui c'è tutta. “Call” prosegue sullo stesso canovaccio del brano descritto, aumentando giusto il ritmo delle strofe e intensificando i volumi (lievemente), che rendono così il tutto decisamente più brioso e uptempo rispetto al previsto. Una buona variazione sul tema con un brano folk-pop dal sicuro fascino. Brevissima, ma tutto sommato alquanto interessante, è l'interruzione provocata nella tracklist con “Mubyo”, strumentale di soli ventinove secondi per chitarra dal tono quasi tradizionale alternata a strumenti giocattolo. Velocissima, ma comunque efficace nella sua bizzarra progressione melodica. “Poker” non rinuncia all'eccentricità dell'insieme, ma anzi, ne fa il suo vero punto di forza; edificata su una flessuosa linea di bossa-nova dall'impatto tutt'altro che vintage (in un certo senso, si rifa alla lezione di un maestro della musica brasiliana quale è Tom Zé), e screziandola di leggerissimi beat elettronici, la canzone è un trionfo di gioia e cromie, un evolversi brillante e lucido alla ricerca di un incrocio tra tradizioni musicali diversissime. La costruzione riesce alla perfezione, ed è il primo brano di un binomio delle meraviglie, a cui segue lo stupore infinito di “Ord gate”, probabilmente il pezzo capolavoro di tutto il disco. E come molti capolavori, è l'assoluta semplicità (in realtà apparente, la complessità dell'arrangiamento si fa davvero lampante ad un ascolto più attento) della melodia, il purissimo concentrato emotivo, a rendere la traccia assolutamente memorabile e imperdibile. Richiami tradizionali, arpeggi di chitarra in picchiata libera, e quella voce a stillare malinconia come nella migliore delle ninne-nanne. Parte poi il ritornello, e ti perdi nel climax ascendente registrato dal dolce cantato di Tokumaru, che è pura estasi fanciullesca. Niente di più rasserenante per l'umore. “Pah-paka” è l'ennesimo interludio atto ad alterare le dinamiche e gli assetti del disco. Ancora una volta, ci riesce alla perfezione, sfruttando scale cromatiche su voci cartoonesche totalmente modificate e riprocessate per mezzo del computer. Non uno stacco mirabolante, ma sa il fatto suo. Ottima è anche l'unica ballata vera e propria del disco, la folkeggiante “Tightrope”. Sussurrata anch'essa come una lullaby nel cuore della notte, e con la chitarra a tratteggiare lievemente il cullare della melodia, il brano è proprio appeso al filo di un equilibrista. Fosse intervenuto qualcos'altro, si sarebbe guastato il fragilissimo equilibrio che lo caratterizza, e niente avrebbe saputo esaltarlo meglio dell'assoluta semplicità che invece lo contraddistingue. La musica folk sa farsi a volte davvero tramite di un'immediatezza dei sensi incredibile. Si prosegue il nostro viaggio nel mondo dei sogni con la salterella poliritmia di “Helictite (LeSeMoDe)”, un altro piccolo carosello frenetico in cui brandelli di musica folk e brillanti superfici di stampo toon raccontano la loro storia senza risparmiarsi nel duello che hanno incrociato, duello che arriva ad una risoluzione nel finale mesmerico e ripetuto. Il tutto va avanti, senza la benché minima traccia di inerzia, con “Shirase”, altro bel colpo in una collezione che finora è stata prodiga di grandi soddisfazioni. Brano midtempo dai tratti nuovamente folk, con un ukulele inizialmente a fungere da unico accompagnamento, e a seguire i restanti strumenti (tra i quali riaffiora nuovamente una timida elettronica), è un ulteriore saggio della squisita ispirazione del musicista, e della sua infinita capacità di narrare con mille volti diversi la dolcezza, di cui c'è un inesauribile bisogno al giorno d'oggi. “Micro guitar music”, d'altro canto, è l'ultima interruzione musicale che ci scorta piano piano alla conclusione del disco, che in poco meno di tre quarti d'ora ha una ricchezza di soluzioni e una parallela compattezza che alla maggior parte degli album sfugge di mano. Il titolo rivela tutto della traccia, inutile soffermarsi ulteriormente. “Down down” è l'ennesimo brano dal passo vivace di grande qualità. Certo, arrivati a questo punto della tracklist diventa davvero difficile apportare una descrizione davvero diversa dagli altri brani; basti sapere che si tratta di un'altra variopinta serenata dalle mille sfumature, che non difetta di niente rispetto alle restanti tracce della raccolta. Si chiude infine con “Balloon”, canzone dal tono lievemente più dreamy e evocativo (anche la voce del musicista si piega all'atmosfera maggiormente introversa dell'arrangiamento), e al contempo anche la più lunga dell'intera fatica. Coi suoi sei minuti di durata, nonostante una brevissima pausa al suo interno, la canzone chiude e riassume nel modo migliore un progetto prodigo di continue emozioni, facendo ripiombare nel mondo dei sogni l'intera avventura vissuta, sogni da cui Tokumaru sembra ricavare materiale continuo per la creazione delle sue esperienze in punta di piedi, esperienze dalla consistenza quasi reale.

E dopo tutto questo, serve aggiungere altro? Direi che di parole sono state spese molte, per questo piccolo capolavoro di musica pop anti-convenzionale e onirica che vi catapulterà indietro negli anni, quando si compieva una nuova scoperta quotidianamente. Non perdere mai il potere dell'immaginazione e la capacità di stupirsi: sembra volerci dire questo Shugo Tokumaru, e contraddirlo suonerebbe come un delitto.
Qualità complessiva delle tracce: 8
Musica: 9
Voce: 7.5
Copertina: 8.5
8.25
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01⁄05⁄2017
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